Scritto nelle ossa

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Al Museo della Via Ostiense la mostra che svela come ci si ammalava e si veniva curati nella Roma Imperiale

di Alessandro Moriccioni

museoOgni volta che mi trovo di fronte a delle ossa o ad un teschio che mi fissa, con le sue orbite vuote, non posso fare a meno di chiedermi con chi ho a che fare, idealmente almeno. E’ strano perché questo con le mummie non mi succede mai. Forse perché con i corpi imbalsamati o con quelli conservati dal processo di mummificazione naturale, questo dilemma, in qualche modo, viene meno. Le mummie le guardo in faccia e un poco le capisco, ma le ossa nude nel loro spettrale pallore sanno più di oblio.
Oggi gli esperti sanno dare un volto anche ai fragili crani dell’uomo preistorico, ma non fanno solo questo. Dare un nome o un aspetto a chi ci ha preceduto e se ne è andato in silenzio, non è il solo scopo delle scienze che studiano le ossa antiche. Capire come si vivesse nel passato, quali stress fisici e quali deficit e malattie colpissero le varie parti dello scheletro umano è estremamente utile anche alla medicina ortopedica di oggi. Anche perché, e lo ignoravo, ce n’è anche una di ieri.
E’ ciò che una nuvolosa mattina del Febbraio scorso, ho imparato stando seduto in una delle sale espositive di Porta San Paolo a Roma a guardare un video molto interessante sulle varie fasi di studio delle ossa rinvenute in uno scavo, prima dell’esposizione in un museo. La mostra che stavo visitando aveva un titolo intrigante: Scritto nelle ossa. Se intendete andarci, affrettatevi perché il 30 Aprile chiuderà i battenti.
scheletroL’assenza di altri visitatori mi ha permesso di godere di un’esposizione piccola ma molto interessante, dove non solo le ossa erano a testimonianza della dura vita di uomini, donne e bambini del passato, peggio se lavoratori, ma anche gli strumenti con i quali i medici dell’epoca si prefiggevano di curare fratture, traumi, tumori e malattie rare, facevano bella mostra di sé.
Diversi esempi presentavano ossa con difetti genetici come nanismo e gigantismo, una cosa che nuda e cruda non si vede tutti i giorni. Erano esposte anche protesi dentarie in oro, il che rendeva questi soggetti ancor più vicini a noi e senz’altro contribuiva ad identificarli più come esseri umani che come resti macabri in grado di impressionare più d’uno tra il pubblico.
Semplici ed esaustivi, a parte molti dettagli tecnici non sempre chiari, i pannelli esplicativi che guidano l’osservatore tra i reperti esposti a capire cosa sta guardando e perché.
Ho trovato, poi, curiose le illustrazioni che spiegano come i medici antichi risolvessero i problemi alla spina dorsale o alle ossa fratturate, incredibili i loro “letti ortopedici” che nulla avrebbero invidiato agli strumenti di tortura delle sale sotterranee della Santa Inquisizione.
Nel complesso, la mostra è molto bene articolata e si sposa con il luogo che la ospita, il Museo della Via Ostiense di Porta San Paolo; decisamente una prestigiosa location.
Sfortunatamente, pur essendo gratuita, la mostra non è accessibile a tutti e questo è un vero peccato. La sede scelta è una porta che in epoca romana dava accesso alla Via Ostiense, quindi ricca di scale in marmo ripide e scivolose, sia dentro che fuori la struttura, certamente non adatta alla deambulazione di anziani e diversamente abili con difficoltà motorie.
teschiIl mini documentario proiettato come introduzione alla mostra è ben fatto e comprensibile, ma solo ad un pubblico udente; non sono stati introdotti i sottotitoli per i non udenti, o almeno io non ne ho visti. Come, del resto, non ho visto pannelli scritti in braille, per i non vedenti, né elementi tridimensionali da poter toccare.
Personalmente sono rimasto interdetto perché dal punto di vista istruttivo è perfetta, anche in relazione al percorso limitato e non stancante, mentre dal punto di vista dell’accessibilità a tutte le categorie di persone, bambini compresi, lascia molto a desiderare. Ma dare un parere totalmente negativo sminuisce il lavoro di chi ha permesso che questa bella mostra fosse realizzata e sarebbe un’ingiusta follia.
Per quanto la mia sia più un’analisi che un giudizio, auspico che la mostra Scritto nelle ossa sia replicata con le giuste revisioni in un luogo adatto alla fruizione di tutto il pubblico.
Infine, se andate a visitarla, ricordatevi di chiedere il libretto realizzato appositamente da Paola Catalano, Gino Fornaciari, Valentina Gazzaniga, Andrea Piccioli e Olga Rickards. Vi aiuterà a riportare alla mente e a comprendere meglio come si viveva, ci si ammalava e ci si curava a Roma nell’Età Imperiale.