Quando il diavolo ci mette lo zampino

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Tra le Basiliche della Capitale c’è quella di Santa Maria Maggiore, all’interno della quale ci sono molte sepolture. Tra di esse anche quella del marchese Antonio Emanuele Funta…

di Walter Astori

La tomba di Antonio Emanuele Funta

Santa Maria Maggiore, come tutte le grandi basiliche, presenta sepolture illustri tra Papi, principi e nobili. La tomba più caratteristica è senza dubbio quella di Antonio Emanuele Funta, meglio noto come “Nigrita”.
Nel 1604 il re del Congo Alvarez II lo inviò a Roma come ambasciatore per ottenere dal Papa una spedizione missionaria nelle sue terre. Nigrita però non era nato sotto una buona stella e durante il viaggio la sua nave fu assalita dai pirati. Il congolese riuscì a salvarsi per miracolo, rifugiandosi in Spagna.
Le sventure per lui erano appena cominciate. Subito dopo lo sbarco fu derubato di viveri e scorte e dovette rimanere in terra iberica per tre anni senza sostentamenti.
Nel 1607, al termine di un viaggio caratterizzato da stenti e patimenti, riuscì finalmente a giungere a Roma. Papa Paolo V organizzò grandi festeggiamenti per il suo arrivo e proclamò un giorno di festa nazionale.
Che la sorte avesse iniziato a sorridere al Nigrita? Assolutamente no, quando il diavolo ci mette lo zampino non c’è nulla da fare. Lo sfortunato non poté partecipare alla celebrazione in suo onore in quanto morì il giorno prima.
Anche da morto non ebbe “vita” facile. Dopo che per anni il suo monumento funebre fu ritenuto del Bernini, si scoprì che in realtà era di Francesco Caporali (Carneade, chi era costui?). Sotto la testa nera su cui spiccano occhi bianchissimi vi è anche una falsa epigrafe: il monumento fu commissionato da Paolo V, ma, vezzi papali, l’epigrafe fu modificata anni più tardi da Urbano VIII per arrogarsi il merito di aver ricordato l’ambasciatore congolese.
In fondo, dopo tutto quello che aveva passato, il povero Nigrita se li meritava proprio gli onori di due Papi.