Omero e l’origine dell’umanità

3840

Antropologi come James G. Frazer e Claude Levi-Strauss hanno proposto tesi a sostegno di una universalità della mitologia mondiale. Ma può un mito muoversi attraverso i secoli e attraverso le culture sino a divenire l’unico tramite tra noi e il passato? Può la mitologia fornire la risposta a quesiti storici che ossessionano l’umanità sin dalla nascita della società civile? Si potrebbe considerare Omero la fonte ispiratrice di Platone e la soluzione all’enigma di Atlantide?

di Alessandro Moriccioni

Da Omero a Schliemann e Felice Vinci. Storia di un “mito migrante”
Felice Vinci e Alessandro Moriccioni
Felice Vinci e Alessandro Moriccioni

Di Felice Vinci avevo solo sentito parlare. La sua tesi sull’origine nordica dei poemi cantati da Omero, invece, la conoscevo meglio.Avevo registrato per caso la puntata di Stargate. Linea di Confine nella quale veniva presentata la teoria del dottor Vinci attraverso un breve documentario girato in loco. Quando la guardai, una sera a cena, rimasi di sasso. Nel filmato era stata anche inserita l’intervista ad una delle traduttrici di Omero più accreditate del panorama letterario. Ripresi la mia copia dell’Iliade dallo scaffale della libreria nella sezione Religione e Mitologia e lessi in copertina: “traduzione di Rosa Calzecchi Onesti”. La stessa persona che in quel momento stava sostenendo la tesi di Vinci.
“Gli aedi” disse “Portavano le loro storie in giro e le cantavano a chi lo chiedeva. Non è impossibile che possano aver contribuito alla diffusione di miti provenienti dal nord e scesi in Grecia attraverso le ben note migrazioni indoeuropee”.
Non potevo credere alle mie orecchie, se la professoressa Calzecchi Onesti appoggiava Felice Vinci doveva esserci qualcosa di vero nella sua tesi. Sinceramente, tuttavia, mi rimase difficile immaginare Ettore, Achille ed Ulisse ricoperti di neve sul campo di battaglia. Ma drizzai nuovamente le orecchie quando fu un’altra docente a dare man forte a Vinci, poiché l’allora professoressa di antropologia culturale Cecilia Gatto Trocchi si espresse favorevolmente, denominando il fenomeno, di cui sopra, facente parte dei così detti “miti migranti”. Secondo la nota scrittrice di saggi la mitologia si sposta con il migrare di una popolazione.
Avendo letto molto sulla mitologia in generale ed avendo affrontato io stesso la materia in ambito universitario, sapevo bene che, come diceva Levi-Strauss, non era possibile ascrivere l’origine di un mito ad un popolo o ad un luogo circoscritto e che spesso i miti più arcaici tornano nella stessa forma in moltissime civiltà lontane tra di loro. Lo stesso concetto fu espresso, verso la fine del XIX secolo, da Sir James Frazer che raccolse una mole documentale immensa che viene oggi rivalutata dagli antropologi moderni alla luce delle nuove ricerche. Ma come poteva un “mito migrante” avere affinità con i poemi di Omero, da sempre considerati poco più che fantastici? Addirittura riportarli ad un ambientazione geografica diversa da quella tradizionalmente riconosciuta, ovvero quella greca e asiatico-minore, mi parve un tantino azzardato.
Nell’estate del 2005, mentre ero in vacanza nel Parco Nazionale d’Abruzzo, acquistai il libro di Schliemann La Scoperta di Troia, appena ripubblicato da Einaudi in collaborazione con il National Geographic. Lo lessi d’un fiato e rimasi molto colpito dalla tenacia del suo autore che parve scoprire Troia nell’incredulità di tutti coloro che consideravano i canti di Omero un bel romanzo e nient’altro. Leggendo Schliemann accantonai e quasi dimenticai l’ipotesi Vinci. Ma presto tutte le mie convinzioni sarebbero saltate e Schliemann sarebbe rimasto solo il ricordo di un uomo fortunato ma ignorante di storia. Riposi il libro nella sezione Archeologia della mia libreria e ciò che avevo imparato fu incamerato nella sala d’attesa del mio cervello per quasi un anno.
Un giorno ricevetti una telefonata da Luigi Cozzi, direttore della testata Mystero, il quale mi chiese se avevo piacere d’intervistare Felice Vinci, autore del libro Omero nel Baltico. “Vinci?” Pensai. “Certo!” Certo che volevo intervistarlo. Corsi subito in redazione. Finalmente avevo l’occasione di leggere un testo che per qualche motivo non avevo mai acquistato. Avrei inoltre incontrato l’autore di una tra le teorie archeologiche più rivoluzionarie che abbia mai sentito. Cosa può volere di più uno studente di archeologia come me?
Parlai per la prima volta con il dottor Felice Vinci una mattina che, con il mio collega Andrea Somma, mi trovavo nello studio del giornalista nostro amico Ruggero Marino. Quest’ultimo saputo che dovevo intervistare Vinci si propose di raggiungerlo per telefono considerato che lo conosceva. Quasi subito Marino mi passò il ricevitore. Una voce pacata e distinta rispose gentilmente alle mie richieste. “Dottor Vinci…” Dissi con una certa emozione. “sono Alessandro Moriccioni e la chiamo da parte della redazione della rivista Mystero per sapere se poteva gentilmente concedermi un’intervista…”. Poche ore dopo mi era già stato spedito del materiale informativo via internet.
Durante le due settimane successive lessi il libro di Vinci e mi convinsi che egli doveva avere pienamente ragione e per diversi motivi. Presi appuntamento con lui per un giovedì mattina e lo raggiunsi nella sua elegante casa a pochi passi dalla redazione di Mystero. Mi accolse a braccia aperte nel vero senso della parola scusandosi di un inconveniente che non gli avrebbe permesso di dedicarmi molto tempo. Tempo che invece mi dedicò ugualmente. Entrammo in una stanza attigua al suo studio, ci sedemmo su due poltrone e, acceso il registratore, gli rivolsi la prima domanda. Ero curiosissimo di ascoltare dalla sua stessa voce la genesi di una scoperta che ha davvero dell’incredibile…

Omero nel Baltico

Prima di passare all’intervista che Vinci mi ha concesso, fornendomi di tutto il materiale necessario, tenterò di chiarire la posizione di questo autore attraverso una brevissima disamina della sua opera Omero nel Baltico. Il compito è estremamente arduo per me, poiché credo che un testo del genere vada letto assolutamente tanto più che, sempre a parer mio, esso non si presta agevolmente ad essere riassunto.
In estrema sintesi così si articola la tesi del dottor Vinci. Partendo dalla rivelazione di Plutarco, secondo il quale l’isola di Ogigia, dove Ulisse incontrò la dea Calipso, si troverebbe nei pressi della Britannia, il ricercatore italiano analizza nel dettaglio la geografia omerica sottolineando le numerose incongruenze che questa ha rispetto allo scenario mediterraneo nel quale è stata collocata. Attraverso lo studio dei toponimi e della mitologia locale di Svezia e Finlandia, l’autore riporta le vicende narrate da Omero alla propria collocazione originaria, rinvenendo la posizione primigenia di tutte le località descritte da Iliade ed Odissea. Vinci è riuscito a trovare, non solo la conformazione originale della controversa geografia omerica nell’area baltica, ma soprattutto la derivazione etimologica di nomi propri di città, popoli e personaggi annoverati da Omero. Un esempio su tutti è, naturalmente, la scoperta del vero sito di Troia ovvero l’area dell’attuale villaggio di Toija che corrisponde esattamente al luogo di cui Omero ha descritto ogni anfratto. Il numero dei toponimi individuati da Vinci che possono essere comparati con il panorama greco è esorbitante. Le similitudini tra i riti e i miti descritti nelle opere di Omero e la realtà delle popolazioni scandinave è perfetta. Gli eventi climatici, come le frequenti nevicate e l’aurora boreale, ed astronomici, come il Sole di mezzanotte, tramandati nei due poemi greci possono essere ascritte solo al periodo di Optimum Climatico postglaciale dell’età del bronzo e solo ed unicamente ad un’area artica quale è quella baltica. Gli studi geologici e paleoclimatici lo confermano.
In conclusione, un’attenta lettura del libro di Vinci scardina ogni dubbio in merito alla validità della sua tesi.

Scarica l’intervista esclusiva a Felice Vinci in formato pdf (ca. 120 kb)