La Santità oggi: un argomento ancora da considerare?

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“Vorrei essere più buono, andare bene a scuola e obbedire a mamma e a papà” così da bambino facevo le mie prime promesse che non nascevano dalla spontanea volontà di migliorarmi, quanto piuttosto dallo sforzo di mantenere viva la considerazione che gli altri riponevano in me.

di Fabio Mancini

giovanni paolo iiCon il crescere altri soggetti hanno preteso il mio impegno: durante la leva prestai giuramento di fedeltà alla Patria, il mio datore di lavoro dopo avermi assunto, volle assicurarsi dietro giuramento che la mia prestazione di manodopera fosse sempre indirizzata verso il raggiungimento dell’interesse aziendale. Altre promesse feci alla Chiesa; durante il rito del sacramento della confermazione, quando rinnovando le promesse battesimali, dichiarai la mia rinuncia a Satana e a tutte le sue opere e seduzioni; poi attraverso la reciproca manifestazione del consenso matrimoniale quando nei riguardi di mia moglie presi l’impegno di esserle fedele nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarla e onorarla per tutti i miei giorni. Accanto a queste pubbliche promesse ne presi altre non proclamate, ma non meno importanti. Ad esempio, il giorno che nacque mio figlio promisi che sarei stato un papà attento e premuroso. Oggi non mi pento delle promesse date, semmai devo rimproverarmi di non aver fatto qualcosa di più e di meglio. Tuttavia in qualsiasi momento sono pronto a promettere ancora ed a chiedere di più a me stesso. Voglia di perfezionismo? Oppure la dolce speranza di Dio che mi sospinge a santificarmi? Eh, sì, perché nonostante la mia pigrizia ed il mio innato egoismo ho ancora voglia di rimettermi in gioco, come se esistesse una forza progettuale e realizzatrice che non ci fa arrendere di fronte ai nostri limiti e alle nostre colpe e che costantemente ci sprona ad essere migliori. Forse per conoscere meglio noi stessi e rendere produttivo il nostro potenziale inespresso abbiamo bisogno di confrontarci con la vita di coloro che stanno più avanti di noi nella fede. Quando penso a nonna Virginia che diceva che il male era meglio riceverlo e perdonarlo piuttosto che compierlo, mi interrogo sulla mia capacità di sopportazione e di perdono. Quando mi metto a ricordare le sue infinite preghiere quotidiane, mi chiedo: ma i miei dieci minuti giornalieri basteranno? Ed i confronti non finiscono  mai perché qualsiasi paragone non dovrebbe suscitare lo sconforto, ma dovrebbe alimentare una gara  collettiva verso il bene e le virtù. La certezza di avere in famiglia una persona virtuosa rafforza la credenza che esiste una santità compatibile con la nostra natura, con il nostro stesso sangue e che qualsiasi distanza anche la più grande, può essere raggiunta solo grazie alla forza dell’Amore. I buoni esempi anche se non fanno molto clamore e non vengono molto pubblicizzati dai media ci aiutano ad avvicinarci verso quell’ideale di perfezione al quale tutti indistintamente tendiamo. I Santi che la Chiesa canonizza sono state persone che con  semplicità hanno compiuto con eroismo le fatiche della quotidianità. Ancor oggi ho negli occhi il volto sofferente di Giovanni Paolo II che messo alla prova dal morbo di Parkinson e dai farmaci come il Levodopa con la dignità del buon Pastore non venne mai meno al suo impegno evangelico, anche se da più parti vennero invocate le sue dimissioni. Anche il perdono offerto all’attentatore è stato sottovalutato perché è stato fatto passare come un atto dovuto, o volutamente diplomatico da parte di un leader religioso, mentre non dobbiamo dimenticare i quattro interventi subiti dal Papa all’addome, ai lombi, all’indice della mano destra e al braccio destro, l’infezione ed infine l’ultimo intervento risolutore. Due anni più tardi il Papa offrì il suo perdono ad Ali Agca e questi per nulla contrito si dichiarò  traumatizzato per aver sbagliato il bersaglio. (A quel punto se fossi stato io il Pontefice avrei ritirato immediatamente la mia fiducia!) Ma per  grazia di Dio Giovanni Paolo II è stato un gigante nella fede e nell’Amore. D’altra parte il perdono non può essere meritato, ma deve essere offerto gratuitamente. Forse il perdono più esemplare fu quello che offrì Santa Maria Goretti ad Alessandro Serenelli. Nel 1902 l’adolescente si oppose ad una violenza sessuale e per questo fu ferita con 14 colpi di punteruolo, ricoverata presso l’ospedale di Orsenico di Nettuno e in tutta lucidità poco prima di morire, confidò alla madre di perdonare l’aggressore e di volerlo con se in Paradiso. Alcuni anni dopo la morte di Maria, Alessandro avvicinò Assunta chiedendole di perdonare il suo gesto. Assunta, la madre di Maria, accettò la richiesta dell’uomo ed i due vinti dalla reciproca emozione, si abbracciarono. Il perdono non è dimenticanza, oblio, ma assimilazione del torto subito in modo tale che il male venga inglobato nel bene, fino alla sua completa estinzione. Ma per fare questo occorre possedere un Amore perfetto, lo stesso Amore che ebbe Gesù morente che sulla croce prima di spirare,  disse: “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno.” Il perdono è dunque la peculiarità del cristiano che pur vivendo nel mondo, appartiene in tutto e per tutto a Cristo. Tempo fa un amico riflettendo sulla beatificazione di Giovanni Paolo II mi faceva notare come l’uomo contemporaneo padrone delle scienze e della tecnologia fosse ancora attratto dall’ideale della santità e di come la figura del Santo fosse rimasto quel simbolo di un’umanità senza tempo e fuori da qualsiasi logica del mondo. Ed infatti … il Santo è il casto, è colui che mortifica i sensi, mentre la logica del mondo gli suggerirebbe di formarsi una famiglia entro la quale coltivare le proprie relazioni umane ed affettive, apprezzando così i piaceri dell’amore sponsale e tenendosi lontano da più brutte tentazioni. Santo è colui che sceglie la strada della povertà, che vende tutti i propri beni per donare il ricavato ai poveri, mentre la logica del mondo sostiene che il povero è un miserabile, un emarginato che non ha più dignità ed è incapace di far valere i propri diritti, un derelitto del quale prima o poi tutti si dimenticheranno. Santo è il piccolo che dipende e spera anche per le piccole cose nel Signore, il benevolo che sa perdonare e che rifiuta la violenza, la persona limpida che non usa la doppiezza e non manipola gli altri per conseguire i propri obiettivi, colui che ha scelto la strada radicale del Vangelo senza riduzioni o comodità. Poi esiste la Santità fatta di intercessioni, di guarigioni, di liberazione, di divinazioni che riducono la sofferenza dell’uomo e ne aumentano il suo benessere e la sua serenità e che suscitano attorno alla figura di colui che le compie la nostra meraviglia: “Ma come ha fatto?” “Chi gli ha dato il potere?” Infatti non è la Chiesa a creare la Santità e a fare i Santi, ma è benevolenza di Dio che opera nella Chiesa e nel mondo. La canonizzazione è solo una dichiarazione che prende l’ufficialità dopo almeno due eventi prodigiosi di cui il venerabile (detto anche il servo di Dio) si è reso mediatore con il Padre. Scorrendo le agiografie si scopre che il Signore non usa una sola strada per convertire e santificare l’uomo, ma usa l’ingegno, la creatività, la sofferenza e il suono della sua Parola nella solitudine dell’uomo. All’uomo di ieri, di oggi e di domani il Signore dice: “Siate Santi come io sono Santo”. E così chiama ad essere Santo il figlio di un mercante di Assisi che sognava di diventare un cavaliere e di sposare una donna bellissima, mentre poi si ritrova a parlare con il crocifisso di San Damiano e a sposare madonna povertà in perfetta letizia. Per San Francesco il modello da imitare è Cristo povero e con Lui Francesco vuole condividerne la sofferenza e le ferite. Alla santità delle persone comuni che operano per la pace, per la vera giustizia e per il bene comune e che compiono ogni opera con semplicità e schiettezza, come mia nonna e mio suocero, si affianca la Santità dei grandi Santi, dei prescelti da Dio che grazie alla loro libera adesione alla volontà del Signore hanno realizzato meraviglie, fino a compiere le stesse cose che faceva in vita Gesù. Non tutti sono chiamati a compiere guarigioni prodigiose, a predicare agli animali o addirittura a resuscitare i morti, ciascuno deve rispettare il posto ed il ruolo affidatogli da Dio. Gli onori degli altari che si sono guadagnati recentemente Giovanni Paolo II e madre Teresa di Calcutta non devono provocare la nostra invidia, semmai la nostra ammirazione, perché la grazia e la provvidenza del Signore guidano e guideranno la Chiesa. Il Santo che ha il potere conferitogli da Dio di realizzare le meraviglie, le compie per offrire un conforto a coloro che si trovano nella sofferenza, ma quando arriva il momento della resa dei conti anche per il Santo, nessuno di loro si  tira indietro di fronte al patimento. Pertanto la Santità è vera scuola di vita e di fede.