L’ epoca d’ oro della “Galaxy” italiana – 1° parte

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Cinquant’ anni esatti fa, nel giu­gno del 1958, e apparsa nelle edicole l’edizione italiana della più celebre rivista americana degli anni Cinquanta, la “Galaxy” di H. L. Gold. A curarla era un milanese, Riccar­do Valente…

di Luigi Cozzi

Galaxy
Sottotitolo: Mensile di fantascienza
Periodo di pubblicazione: dal giugno 1958 al maggio 1964.
Periodicità: mensile
Fascicoli editi: 72.
Editore: dal n. 1 al n. 10 Editrice Due Mondi, Milano; dal n. 12 al n. 72 Casa Editrice La Tribuna, Piacenza.
Curatori: R. Valente dal n. 1 al n. 26; MaVi (Mario Vitali) dal n. 27 al n. 37; L.P.R. (LelIa PolIini Rambelli) dal n. 38 al n.72.
Copertine: Pederson, Finlay, Dember, Crepax, Wood, Emsh, Spatius, GalIuppi, Martin, Schnelling, Lombardi, Walker, Ritter, Wenzel.
Illustrazioni interne: riprese tutte dall’edizio­ne originale americana.
Formato: cm. 18,5 x 14 dal n. 1 al n. 55; cm. 18,5 x 12,5 dal n. 56 al n. 72.
Pagine: da 128 a 256 (numeri “doppi” 0 “giganti”).
Prezzo: lire 150 dal n. 1 al n. 55; lire 200 dal n. 56 al n. 72 (lire 300 i numeri doppi).
Edizione italiana dell’omonima rivista americana. Inizialmente manteneva pure gli articoli di divulgazione scientifica di Willy Ley. Per un certo periodo pubblico anche racconti italiani, in una rubrica di appendice (denominata “Gazzettino”, poi “Accademia“) riservata al “Racconto del Lettore”. La rubri­ca, alla cessazione di Galaxy, continuò sul mensile Galassia.

 Nel giugno del 1958 appariva, nelle edicole, il primo numero della rivista Galaxy,l’e­dizione italiana della celebre pubblicazione americana curata da H. L. Gold, che nel giro di pochi anni negli Stati Uniti aveva in pra­tica rivoluzionato l’intero settore fantascien­tifico, lanciando nuovi autori e pubblicando un impressionante numero di racconti e di romanzi d’altissima qualità.
In realtà, la Galaxy americana era già nota ai lettori italiani, perche fin dal lontano 1952 ne era stata lanciata un’edizione italia­na: solo che molti non se n’erano accorti perche la pubblicazione, pur ospitando i testi della rivista statunitense con la quale aveva stabilito un accordo di quasi esclusiva, si inti­tolava Urania Rivista: la curava Giorgio Monicelli, ma, malgrado l’appoggio di un importante editore come Arnoldo Monda­dori, nel giro di poco più di un anno la testa­ta era stata costretta a chiudere per il sempre calante numero di lettori che la acquistava­no, mentre la collana gemella, consacrata unicamente ai romanzi, e cioè I Romanzi di Urania, otteneva un cospicuo successo di pubblico, tanto che ancora oggi e presente nelle edicole.
Purtroppo l’insuccesso di Urania Rivista, malgrado l’elevata qualità dei testi in essa pubblicati, e stata una delle prime dimostra­zioni del triste fatto ormai generalmente accettato secondo il quale al lettore italiano di fantascienza le collane di racconti non piacciono: tutte le testate di questo tipo, infatti, hanno sempre finito per chiudere, mentre le serie dedicate ai romanzi hanno prosperato e si sono a volte persino moltipli­cate.
Ad animare nel1958 il secondo tentativo di realizzare un’edizione italiana della Galaxy Magazine, e questa volta utilizzando anche nel nostro paese la testata della rivista origi­nale, fu un giovane cultore di fantascienza milanese, Riccardo Valente, che all’epoca aveva da poco compiuto trentatre anni. Sot­to la sua guida, in Italia Galaxy divento almeno dal punto di vista qualitativo, tra il 1958 e il 1960, la testata di fantascienza di maggior spicco nel nostro paese, introducen­do i lettori a una vasta quantità di racconti e di autori di qualità elevatissima, fino a quel momento in gran parte sconosciuti: Frederik Pohl, William Tenn, Robert Sheckley, Clifford D. Simak, tanto per fare qualche nome…
Ma la bellissima avventura di Valente e della “sua” Galaxy italiana non e durata molto, come e accaduto per tutte le riviste di racconti: dal giugno del 1958 fino al marzo del 1959, quando Valente sciolse la sua minuscola casa editrice (Editrice Due Mondi s.d.) cedendo la pubblicazione alla Casa a Editrice La Tribuna di Piacenza, diretta da Mario Vitali (che in seguito divento pure l’e­ditore del mensile Galassia e delle varie col­lane del Science Fiction Book Club); Valente rimase comunque alla cura della Galaxy italiana per altri sedici fascicoli, e cioè fino al numero doppio del luglio-agosto 1960, quando, con queste parole, prese com­miato dai suoi lettori: 

“A partire da questa numero lascio la direzio­ne dell’ edizione italiana di Galaxy, che ho avuto il piacere di dirigere fin dall’inizio della pubblica­zione nel giugno 1958. Ricordate quel numero di Galaxy ‘Anno I, n. 1 – giugno 1958’? Vi erano alcuni dei più bei racconti di fantascienza che mai siano stati pubblicati: IL TUNNEL SOTTO IL MONDO di Frederik Pohl. MILITARE di Michael Shaara, TRAVER­SATA AL SOLE di Alan Nourse.
“Nei successivi ventiquattro numeri, cioè fino al numero scorso, quello del giugno 1960, l’ulti­mo da me diretto, ho cercato di far conoscere ai lettori italiani il meglio di quanto e stata pubblicato nella rivista originale americana negli ultimi sette anni. E’ stata una scelta molto personale, ma credo di non avere trascurato I’essenziale. Si pub dire che nei venticinque fascicoli di Galaxy precedenti a questa siano compresi, come in un’antologia, tutti i principali generi e i principali temi della fantascienza.
“Ora si può considerare conclusa questa fase preparatoria e direi quasi di presentazione al pub­blico italiano. A partire da questo fascicolo, I’edi­zione italiana di Galaxy si diversifica sotto molti punti di vista dai precedenti venticinque fascicoli, principalmente per quanto riguarda il numero delle pagine, grandemente aumentato, e la dispo­sizione tipografica.
“Dal punto di vista del contenuto, i lettori non dovranno avere preoccupazioni: l’edizione italia­na di Galaxy ‘nuova maniera’ non si diversi­ficherà dalla vecchia, in quanto essa continuerà a pubblicare esclusivamente materiale originale apparso sull’edizione americana, sia pure senza il criterio selezionativo finora seguito…” 

In effetti, l’epoca d’oro della Galaxy ita­liana si conclude proprio con quel doppio numero del luglio-agosto 1960: da quel momento in poi, fino alla chiusura avvenuta col settantaduesimo numero nel1964 (dovu­ta essenzialmente al fatto che la rivista madre americana, in quel periodo, non rinnovo più l’accordo con la Casa Editrice La Tribuna, ma cedette invece i diritti di traduzione dei proprio fascicoli a Mondadori per Urania), la Galaxy italiana non ha fatto altro che tra­durre pedissequamente il materiale che veni­va ospitato sulle pagine della consorella sta­tunitense, senza più nessun lavoro di selezio­ne: Valente, invece, nei suoi due anni di direzione della testata aveva soprattutto scelto nelle prime otto annate della Galaxy made in U.S.A., prelevando in pratica da esse le storie che più a lui piacevano tra la grandissi­ma quantità di straordinari testi a disposizio­ne; Valente infatti compilo ventisei fascicoli dell’edizione italiana, racchiudendovi il meglio preso dagli oltre novanta numeri già usciti in America!
E’ quindi comprensibile perche ancora oggi, a cinquant’anni di distanza, Riccardo Valente sia ricordato con stima e affetto da tutti coloro che sono stati Fedeli lettori della sua “prima” Galaxy, una pubblicazione che era arricchita anche dai suoi brevi ma spirito­sissimi “cappelli” editoriali, e che si avvale­va pure di traduzioni esemplari per testi diffi­cilissimi da rendere nella nostra lingua, tra­duzioni così valide che parte di esse sono sta­te riprese nell’antologia degli “Omnibus” di Mondadori che Carlo Fruttero e Franco Lucentini hanno dedicato nel 1965 alla Galaxy americana, e cioè nel volume All’ombra del 2000.
Ben poco, però, si e saputo nel mondo degli appassionati sui conto di questa grande pioniere della fantascienza in Italia, Riccardo Valente, perché dal 1960 in poi, dopo l’ab­bandono di Galaxy, la sua figura è totalmen­te sparita dal campo. Per cercare di colmare questa lacuna, e per tentare di scoprire qual­cosa sui motivi che hanno portato Valente nel 1958 a creare la Galaxy italiana, nel maggio del 1981 mi sono messo in moto per cercare di rintracciare quest’uomo e intervi­starlo. Dopo una serie di ricerche non facili, sono riuscito a entrare in contatto con la sua ex-moglie, Marina Valente, che oggi è una apprezzatissima traduttrice di Mondadori e di Rizzoli, e tramite lei alla fine ho potuto rin­tracciare e perfino incontrare Riccardo Valente, recandomi a visitarlo nella sua casa situata di Fronte a uno degli ingressi dell’ ex­-Fiera Campionaria di Milano.
E così, nella primavera del 1981, sorriden­te, con il fare sicuro, spiccio ma anche cor­diale del business-man milanese di classe, Ric­cardo Valente mi accoglie e mi fa sedere nel­la sua attuale abitazione, mentre il mio sguar­do cade quasi subito su uno scaffale di libreria tutto pieno dei vecchi fascicoli della Galaxy originale americana: ci sono praticamente tutti, dalle origini fino quasi al 1963. Sotto, ci sono invece diversi numeri della Galaxy italiana curata da Valente, quelli della sua gestione: vedo solo pochi tra i numeri succes­sivi. Alle pareti del salone fanno spicco, incorniciate, le “tavole” con i disegni originali delle bellissime copertine di Crepax che comparvero sulla rivista. Le ammiro tutte in silenzio per vari momenti, poi inizio final­mente l’intervista. 

COZZI: Allora, Valente… mi parli un momento di lei in generale.

VALENTE: “Dunque .. .io sono nato a Milano neI1925, e nella vita ho fatto soprat­tutto il dirigente d’azienda. L’impiegato dap­prima, il funzionario poi. Oggi faccio il libero professionista, sono un consulente commerciale… e adesso opero nell’ industria.”

C.:E come le è capitato di creare Galaxy, allora?

V.:”Perché nel 1957, insieme a due miei cari amici, si era pensato di trovare un modo per sfruttare commercialmente quel genere di letteratura che a noi piaceva e che si andava indubitabilmente affermando: la fantascienza.”

C.:Quindi lei era già un lettore, un appassionato di fantascienza all’ epoca?

V.:”Sicuro. E lo erano anche quei miei due amici… e questo fu il nostro grosso errore: la pretesa di mischiare I’utile al dilettevole! Ci illudemmo cioè che fosse possibile ricavare un guadagno da una cosa che ci piaceva. Invece, la realtà era che trasformare la pas­sione per la fantascienza in una operazione commerciale redditizia era un’impresa dispe­rata… e noi ben presto scoprimmo a nostre spese, pubblicando Galaxy, che quella rivista era bella, che ci piaceva… ma che non ren­deva. Anzi, ci faceva solo perdere tempo e denaro.”

C.:E come mai lei scelse di fare proprio l’ edizione italiana di Galaxy, e non magari di un’altra del­le riviste americane che all’ epoca andavano altrettanto bene, tipo Astounding o The Magazine of Fantasy and Science Fiction? Forse perche lei amava in maniera particolare fa rivista curata da H. L. Gold e i testi che pubbli­cava?

V.:”No, la scelta di Galaxy fu quasi casuale. Noi intendevamo semplicemente prendere i diritti di una rivista americana famosa per crearne l’edizione italiana, convinti di poter­ci guadagnare. La prima alla quale pensam­mo fu Astounding, e inizialmente, a dire il vero, non pensavamo nemmeno di dovere essere noi a stamparla come editori, ma vole­vamo unicamente dirigerla come curatori: ci mettemmo cioè alla ricerca di un editore che fosse disposto a farla uscire, assumendo me come animatore, come colui che sceglieva i pezzi e teneva i contatti con i lettori. Però nessun editore si dimostrò interessato a ciò che proponevamo…”

C.:Con chi ha trattato?

V.:”Oh, con diverse case editrici … a un cerro punto andai addirittura a parlare con Carac­ciolo, che ovviamente mi ascoltò molto gen­tilmente perché é una persona cortese, rispondendo poi però che una testata del genere non rientrava di certo nei suoi pro­grammi editoriali. Ma noi insistemmo nella nostra idea, e alla fine arrivammo alla deter­minazione di diventare editori in proprio, visto che nessuno ci voleva ascoltare… con­vinti, nella nostra ingenuità, che avessimo tra le mani una grossa idea commerciale, una rivista che ci saremmo divertiti a fare ma che ci avrebbe anche reso dei quattrini. Io infatti vedevo che la fantascienza piaceva in genere alla gente, ma che nelle edicole c’erano solo due pubblicazioni, Cosmo e Urania, entram­be riservate unicamente ai romanzi: di conse­guenza, mi illudevo che ci fosse lo spazio e forse anche la necessità per una testata dedi­cata invece ai racconti, alle opere di narrati­va più breve… e io ero sicuro che al pubblico una rivista del genere sarebbe piaciuta, con­vinto com’ero che il meglio della fantascien­za fosse reperibile più nei racconti, nelle ope­re brevi che non nei romanzi. A dire il vero, anche oggi io ritengo che la forma più idonea a trasferire in un modo abbastanza veloce quella che può essere un’ipotesi, un’idea fan­tascientifica e a risolverla nel giro di poche righe, sia appunto il racconto. I romanzi, secondo me, per tutta una serie di motivi che probabilmente hanno a che vedere con le esigenze strutturali di un’opera lunga, tendo­no infatti a essere qualcosa che non ha molto a che vedere con l’essenza fantascientifica vera e propria: cioè, esistono romanzi che sono bellissimi, come il Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, ma che sono di fantascienza soltanto per modo di dire… il racconto, inve­ce, quando e bello, tende a essere molto più lineare, molto più fantascienza anche nella forma oltre che nel contenuto: c’è un tema dove si inserisce una determinata tesi, e si sviluppa quindi col massimo rigore quella tesi nei termini della situazione inventata ma possibile
“Tra l’altro, tenga anche presente che allo­ra, verso la fine degli armi Cinquanta, non si era ancora verificato I’inquinamento della fantascienza a opera della fantasy: certo, la fantasy esisteva di già, ma era completamen­te a se stante, emarginata, separata, mentre da anni, soprattutto con il clamoroso succes­so di pellicole come Guerre stellari, nella fantascienza sono confluiti elementi che appartengono invece specificatamente alla fantasy, al punto che un altro film recente, Flash Gordon, e diventato una sorta di science fantasy, mentre i disegni originali (e io li conosco bene perche li ho letti tutti sull’Avventuroso quando uscivano per la pri­ma volta in Italia) rientravano alla perfezio­ne nei canoni della fantascienza classica e rigida … hard, come si dice ora. E quindi, in quella situazione alla fine degli anni Cin­quanta in cui la fantascienza era ancora un genere incontaminato e puro, rigoroso, io e quei due miei amici ci permettevamo di con­siderare i romanzi come una sorta di fanta­scienza bastarda, diluita, mentre per noi la forma letteraria di fantascienza più pura e cri­stallina era quella dei racconti, e siccome una pubblicazione dedicata alle sole novelle brevi non esisteva ancora nel nostro paese, erava­mo convinti che, varando noi stessi la testa­ta, avremmo creato un’impresa commercial­mente fruttifera, oltre che divertente. Inve­ce… invece…”

C.:Avrebbe dovuto ricordarsi del precedente di Urania Rivista, Ia prima edizione italiana di Galaxy curata da Giorgio Monicelli per la Mon­dadori, chiusa per mancanza di lettori vari anni prima … no?

V.:”Lo so, lo so … ma e il senno di poi. Noi allora non ce ne preoccupammo. Non pen­sammo che il motivo per cui, nel 1958, nes­suno pubblicava più in Italia riviste di rac­conti fosse perché non rendevano, perché i lettori non le compravano… eravamo invece convinti che fosse perché gli altri, gli editori o gli specialisti del settore editoriale, fossero semplicemente meno aggiornati, meno aperti alle nuove idee di noi. Invece, avevano ragione loro, gli altri, i quali, come il prece­dente stesso di Urania Rivista insegnava, sapevano di già che al lettore italiano di fan­tascienza le riviste di racconti non piaceva­no e quindi non le si vendeva abbastanza per continuare poi a farle uscire…”

C.:Ma lei come ha fatto ad appassionarsi alla fantascienza, se non le piacevano i romanzi e quindi forse non leggeva CosmoUrania? Come faceva a conoscere le riviste straniere, che allora erano alquanto difficili da trovarsi nel nostro paese?

V.: “Io conoscevo bene la fantascienza ameri­cana perché leggevo regolarmente da anni Astounding. Uno di quei miei due amici di cui le ho parlato, era infatti da tempo abbo­nato ad Astounding, e dopo che lui li aveva letti, me ne passava tutti i fascicoli. Poi io mi ero procurato anche altre riviste per conto mio e avevo preso a leggerle sempre di più, finché alla fine è maturata in me I’idea di tentare di lanciare anche in Italia una testata consacrata unicamente ai racconti, che era il settore della letteratura di fantascienza allora più ricco di perle ma certamente meno cono­sciuto. Così, quando giungemmo alla decisio­ne di finanziarla noi tre insieme la rivista, visto che nessun editore era interessato, io scrissi una lettera proprio ad Astounding, chiedendo che mi concedessero di varare I’e­dizione italiana. Ma loro risposero… ecco, non ricordo bene adesso che cosa mi rispose­ro, comunque qualcosa tipo o che non pote­vano vendere i diritti o che li avevano già ceduti a qualcun altro… oppure che la nostra offerta era troppo bassa… ecco, non ricordo bene la ragione, comunque Astounding ci rispose di no. Fu così che io allora decisi di fare un secondo tentativo, rivolgendomi que­sta volta a Galaxy. Gli scrissi e questa volta ebbi una risposta positiva: la testata america­na era disponibile a un accordo ragionevo­le… anche se, almeno secondo il mio gusto personale, Galaxy era la rivista che preferivo di meno, perché mi pareva che dal 1957 in poi fosse molto calata come qualità, avesse iniziato cioè una sorta di parabola discenden­te dal punto di vista dei valori. Fu quindi per questa ragione che non mi misi a trasporre semplicemente in italiano il contenuto dei fascicoli americani mano a mana che compa­rivano, ma iniziai invece a compiere una lun­ga e complessa opera di selezione tra tutte le annate precedenti, quelle in cui, a mio pare­re, erano apparsi i testi più significativi. In pratica, di conseguenza, la mia Galaxy fu una sorta di antologia mensile del meglio di vari anni della Galaxy americana, piuttosto che una semplice edizione italiana corrisponden­te…”

C.: In effetti, e forse proprio per questo che gli oltre venti fascicoli da lei curati sono ancora oggi tanto acclamati, mentre i successivi, che non seguivano più quel criterio di selezione, non reg­gono di certo il confronto … no?

V.: “E’ probabile, perché in effetti nel periodo in cui io ho diretto I’edizione italiana di Galaxy ho ripescato un sacco di roba vec­chia, addirittura del 1951, del ’52, del ’53 e del ’54… ho saccheggiato praticamente il meglio di quelle annate… cosa che tra I’altro, da qualche lettore attento che conosceva la rivista nell’edizione originale, mi è stata anche rimproverata, quasi contestata. Dice­vano: ‘Va bene, tu adesso stai prendendo il meglio del passato... ma tra qualche anno, quan­do non avrai più arretrati a disposizione da setacciare, che cosa farai? Di che qualità sarà la nuo­va serie della testata?’ In effetti era una critica giusta, sensata… quella pacchia era inevita­bilmente destinata a finire, dato che i nuovi numeri della Galaxy americana che uscivano era sempre pili scialbi e mediocri…”