I due volti dell’archeologia

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Intervista a Roberto Volterri, accademico eretico 

di Alessandro Moriccioni e Andrea Somma

Roberto Volterri
Roberto Volterri

Quando si tratta una materia delicata come l’archeologia, è necessario innanzitutto chiedersi di quale archeologia ci si voglia occupare.
Esistono infatti due fazioni avverse in questa disciplina, in lotta costante tra loro, almeno dalla fine del XIX secolo. Con l’affinarsi delle tecniche analitiche dei reperti e dei siti archeologici, questa antica rivalità si è fatta ancor più aspra.
Coesistono infatti, come appena accennato, due diverse scuole di pensiero in fatto di archeologia. La prima asserisce che la quasi totalità degli eventi si possa definire attraverso lo studio dei reperti antichi e dei luoghi che assistettero alla loro storia; la seconda categoria non smentisce affatto questa presa di posizione, ma considera importante accertare come accaduti tutti quei fatti apparentemente non supportati da prove contestuali ai siti di riferimento. La prima vede il sito di interesse archeologico come prioritario rispetto al contesto in cui questo fu immerso, la seconda cerca di provare concretamente che non tutto ciò che può sembrare mitico sia inevitabilmente falso.
Si potrebbe allora asserire che ci si trovi di fronte ad un muro invalicabile. Invece esistono archeologi che sono riusciti a mantenere dentro di sè la fredda logica catalogatrice dello scavo contemporaneamente ad una capacità critica sempre attenta a non bollare l’inconoscibile come semplicemente inesistente.
L’archeologia, assieme alla storia ed alla geologia, ci racconta il passato della Terra e l’iter evolutivo dell’uomo, ma non conserva la sua memoria. Guai a tracciare una qualsivoglia epopea umana senza prima concedere uno sguardo critico al folclore popolare, veicolo di memorie altrimenti perdute e che nessun reperto, per quanto artisticamente e simbolicamente comunicatorio, conserverà o rivelerà mai.
Per questi rari studiosi ambivalenti, ma mai equivoci, il mito e la leggenda appaiono come i depositari di questa antica memoria scomparsa. Anche lì, e non possiamo dargli torto, c’è un importante tassello fondamentale per la ricerca di un’identità umana altrimenti inaccessibile.
Per il motivo appena illustrato abbiamo deciso, dopo tante interviste ed articoli sull’altra faccia dell’archeologia, quella meno ortodossa e più nascosta, di intervistare l’archeologo Roberto Volterri, autore notoriamente diviso tra archeologia classica ed eretica. Gli abbiamo voluto chiedere in cosa consista il suo lavoro e come riesca a mettere insieme le due cose, quali progetti abbia per il futuro e quali delle esperienze che lo hanno segnato ed indotto a seguire la via della “perdizione archeologica”, egli porti nel cuore.

Intervista a Roberto Volterri

Terra Incognita: Chi è l’archeologo Roberto Volterri e che rapporto ha con “l’archeologia eretica”?

Roberto Volterri – ne parlo, solo inizialmente, in terza persona, così sarò… più obiettivo! – si è sempre interessato agli aspetti meno ‘normali’ della realtà che ci circonda. Ciò sia per quanto concerne l’attività lavorativa istituzionale, in ambito universitario, sia – ma direi soprattutto – per quel che concerne un’attività di ricerca parallela, orientata verso tutte quelle sfaccettature della Conoscenza che meno di altre vengono prese in considerazione.
Oppure, se tali ‘sfaccettature’ hanno, a volte, la fortuna di venir considerate anche dalla cosiddetta ‘Scienza’ ufficiale, cadono inesorabilmente nelle ‘sabbie mobili’ di una critica aprioristica, ben poco obiettiva, del tutto faziosa.
Così è accaduto per la Parapsicologia in anni ormai un po’ lontani (fine anni Settanta) a seguito di una serie di trasmissioni televisive finalizzate al discredito – a 360°! – di tutta la seria ricerca volta ad evidenziare possibili capacità di percezione al di là dei nostri usuali, un po’ limitati, cinque sensi.
Ricerca svolta sia in Italia dal Centro Studi Parapsicologici di Bologna (e da altri accreditati Centri privati) sia svolta all’estero in prestigiose Università. Ma l’interesse per l’inconsueto, il ‘mistero’, mi appartiene a tutto tondo: così ho allargato i miei interessi anche verso tematiche apparentemente ‘di stretta osservanza’. Come ad esempio l’archeologia, settore di cui mi occupo dal punto di vista lavorativo, nell’ambito dell’Archeometallurgia.

T.I.: In che consiste esattamente il suo lavoro?

R.V.: Appunto, mi interesso di analisi in Microscopia Elettronica a Scansione, Microanalisi EDS e tecniche ad esse ‘complementari’, quali la Diffrattometria a raggi X, per la caratterizzazione di reperti archeologici soprattutto metallici. Insieme a colleghi ho analizzato gioielli fenicio-punici provenienti da un corredo funerario scavato a Ibiza (Isole Baleari), altri monili – definiti Iocalia, ovvero ‘bigiotteria di pregio’ – placcati in oro, provenienti dalla Sardegna, monete bronzee scavate nell’alveo del Tevere, due stranissime monete in bronzo pesanti… quasi un chilogrammo e mezzo ciascuna, ovvero due Quincussis forse del IV secolo a.C. che, se ‘autenticate’ varrebbero una fortuna!
Il ‘forse’ deriva dal fatto che non è possibile datare strumentalmente i metalli (come si fa per reperti organici con il metodo del Radiocarbonio o con la ceramica mediante la tecnica della Termoluminescenza).
Il difficile sta, a volte, nell’avere a disposizione reperti particolarmente interessanti, magari provenienti da Musei o Soprintendenze (ambedue gelosissimi!), anche se le tecniche utilizzate non sono affatto ‘invasive’ né tantomeno distruttive.

T.I.: Qual è la ragione che l’ha spinta ad intraprendere il cammino di archeologo di frontiera?

R.V.: Quanto già evidenziato nella prima risposta.
A volte, ma non sempre, gli aspetti ‘ortodossi’ della ricerca appaiono un po’ ‘noiosi’, quasi volti a ripetere ciò che altri hanno già fatto. Salvo lodevolissime e fortunatissime eccezioni, naturalmente!
L’archeologia di frontiera – vista come il classico ‘fumo negli occhi’ in ambito universitario – cerca appunto di ‘vedere’ un po’ più in là, di formulare ipotesi che cozzano contro le conoscenze già acquisite, consolidate, accettate magari senza verifica alcuna, ma solo perché “così deve essere, e quindi così è…”.
“Di frontiera”, se vogliamo era anche Schliemann, “di frontiera” è anche il mio amico Ing. Felice Vinci, il quale sostiene che le vicende omeriche si siano svolte non in Grecia ma nel Baltico! E pare che non pochi organismi accademici (non nostrani, ovviamente!) lo abbiano preso in serissima considerazione.
Insomma, è il fascino dell’andar ‘controcorrente’ ma sempre tenendo presente quanto suggerito dal buon Guglielmo di Occam e dal suo filosofico ‘rasoio’.

T.I.: In riferimento ai suoi libri, che cosa intende per “Archeologia dell’impossibile”?

R.V.: E’ ufficialmente ritenuto ‘impossibile’ che in antico conoscessero metodi per produrre elettricità a bassa tensione! Poi fu rinvenuta la famosissima, vituperata ‘Pila di Baghdad’. Di tali ‘pile’ ne ho realizzate ben sette, le ho collegate in serie in modo da avere a disposizione almeno 6 volt, con una corrente erogabile di alcune decine di milliampere. Ebbene, con tale rudimentale sistema ho ricoperto di argento e di piombo alcuni lingottini di bronzo. Come, verosimilmente, si poteva fare in antico.
La qual cosa getterebbe qualche ombra di dubbio su come, in realtà, siano stati realizzati alcuni dei gioielli fenicio-punici di cui prima parlavo, dato che sono di argento o di bronzo, internamente vuoti, ricoperti da una sottilissima ‘foglia d’oro’ spessa soli 15 micron, ovvero quindici millesimi di millimetro!
E’ ritenuto ufficialmente ‘impossibile’ che il geniale scienziato siracusano Archimede abbia realizzato degli specchi ustorii. Poi il mio amico ing. Mario Pincherle, molti anni fa, rinvenne nel Museo Archeologico di Siracusa delle strane lastre di bronzo ancora in parte argentate. Intuì che potevano fare parte di un sistema (utilizzandone molte) per focalizzare su un obiettivo la radiazione termica solare. Realizzò un esperimento nel 1972 e riuscì ad incendiare un simulacro di legno di nave romana, alla presenza delle telecamere Rai. Tutto ciò l’ho riportato, con le immagini dell’epoca, nel mio libro ‘Archeologia dell’Impossibile’ (ora Acacia Edizioni, Milano).
Aggiungo che di recente anche al prestigiosissimo MIT si sono ‘svegliati’, riproducendo con successo l’esperimento.
E così via per molti altri ‘impossibili’ reperti…

T.I.: E dell’introvabile?

R.V.: Dov’è la tomba di Manfredi di Svevia, morto nella battaglia di Benevento nel 1266 e ‘gettato’ fuori dalla ‘terra consacrata’ per volere del vescovo di Cosenza, il Pignatelli? E’ ‘introvabile’ per definizione, ma indagando in lungo e in largo, ho scoperto che i resti mortali del figlio di Federico II e di Bianca Lancia potrebbero riposare nella locale chiesa, in una piccola cassetta posta sotto il capo del simulacro in cera del patrono della cittadina di Ceprano (Frosinone).
Dov’è la tomba di Porsenna? Forse a Poggio Gaiella (Chiusi) o in qualche limitrofa località? E’ ‘introvabile’, ma cercando meglio…
Dov’è la tomba di Alarico? Forse nel letto del fiume Busento? Oppure ‘accanto’ ad esso, come sembrerebbe da ricerche effettuate indirettamente?
E così via…

T.I.: Cosa pensa che dovrebbe cambiare nel panorama accademico di oggi in riferimento alla storia ed all’archeologia?

R.V.: Forse, in generale, sarebbe necessaria una maggiore apertura mentale, ovvero la capacità di ‘riscrivere’ ove necessario, alcune categoriche affermazioni, frutto di ciò che si sapeva in passato ma, come molti altri aspetti della Conoscenza, suscettibile di essere modificato grazie all’acquisizione di nuove scoperte o di una diversa ‘lettura’ di alcuni antichi testi. Guardiamo a ciò che si scrive da sempre sull’introvabile Atlantide: ogni tanto emerge una nuova (ovviamente ‘definitiva’) scoperta che allarga l’orizzonte percettivo dei vari ricercatori. Non è detto che realmente sia esistita così come l’ha descritta Platone, ma non è affatto detto che sia solo frutto di ‘malate’ fantasie. Antiche e moderne.

T.I.: Quale dovrebbe essere l’atteggiamento di un archeologo di fronte ad una archeologia moderna sempre più “disciplina meccanica”?

R.V.: Non credo ci sia un ‘modello comportamentale’ valido per tutti. Dipende dalla formazione culturale, dal ‘carattere’, dalla personalità dell’individuo. Da idee preconcette che, anno dopo anno, si sono radicate nell’intimo delle persone. Nessuno escluso. Anche in me, anche se faccio disperati, a volte inutili, sforzi per liberarmene.

T.I.: In riferimento al suo libro “L’universo magico di Rennes-le-Chateau”, crede ci siano cripte inesplorate sotto la chiesa della Maddalena di Rennes, come sembrerebbe indicare la fascia ornamentale orizzontale dipinta sulle mura perimetrali dell’enigmatico luogo di culto?

R.V.: Può darsi ci sia ancora qualcosa da scoprire nell’area di Rennes le Chateau, ma credo che sotto la chiesa (e anche sotto la Torre Magdala, dove ho visto io stesso che avevano scavato alla ricerca di qualcosa che, al Georadar era sembrato un ‘sarcofago’) non ci sia nulla di più di quel che si sa. Mai dire mai, però…
Varie cose interessanti, invece, sono nei dintorni. Ad esempio nell’area della distrutta (con la dinamite e con quasi tutto ciò che conteneva) Abbazia di Carol. Sul tema ho pubblicato ‘Rennes le Chateau e il mistero dell’Abbazia di Carol’ (SugarCo 2005).

T.I.: Perché ancora occuparsi di Rennes, non pensa sia stato già detto tutto?

R.V.: No, non credo. Forse sotto la chiesa non c’è altro, ma molto altro potrebbe essere rinvenuto in documenti o nelle aree circostanti. Sarei lieto se qualcuno (e so che lo si fa) indagasse ancora sulle grotte di Carol, sull’operato di Louis de Coma, su ciò che in realtà c’era nella chiesa fatta esplodere pochissimi mesi dopo l’inizio del ‘mistero Rennes le Chateau’ e così via.

Pile
Pile

T.I.: In riferimento ai templari ed al suo libro “Baphomet. Sulle tracce del misterioso idolo dei templari”, pensa che abbiano trovato davvero delle reliquie importanti in Terrasanta?

R.V.: E’ estremamente probabile. Altrimenti per quale motivo il nucleo originario dei Templari avrebbe scavato per anni sotto il Tempio di Salomone senza volere aiuti? La terra e la roccia sono duri da scavare e nove persone ben poco possono fare da sole. Salvo non vogliano testimoni.
In tal caso la fatica potrebbe ricompensare il valore della meta raggiunta.
Lo stesso Sauniere volle scavare da solo, a Rennes le Chateau, con l’aiuto della fedelissima Marie Denarnaud.

T.I.: Secondo la sua opinione, su quali misteri archeologici sarebbe oggi fondamentale indagare?

R.V.: Hawass dice che il 70% della civiltà egizia è ancora sotto le sabbie. E se lo dice lui…
Ma anche in Italia ci sono varie località in cui affondare la pala dell’archeologo (magari preceduta dall’utilissimo Georadar). Ad esempio, nei pressi di Chiusi alla ricerca dell’introvabile Tomba di Porsenna. Ma anche lungo il Busento alla ricerca del sepolcro di Alarico.

T.I.: Può raccontarci qualche piccolo aneddoto che le è accaduto durante lo svolgimento della sua professione di archeologo?

R.V.: In ‘missione’ non istituzionale ho provato un’intensa emozione proprio quando abbiamo ritrovato le due grotte fatte edificare dallo strano gesuita Louis de Coma a pochi chilometri da Rennes le Chateau. Erano ricoperte dalla vegetazione, in una vi era la Maddalena piangente e nell’altra il Cristo sudante sangue nell’Orto dei Getsemani. Ebbene è stato veramente emozionante. E ne è nato il libro prima citato. Ma lì c’è ancora molto da scoprire.

T.I.: Perché ancora oggi l’archeologia ufficiale fa così fatica ad accettare la possibilità che sia esistita in un tempo remoto una civiltà primigenia come quella di Atlantide descritta da Platone?

R.V.: Perché non esiste la vera ‘prova provata’ di tutto ciò.
Thera? La Sardegna? Ovunque… c’è Atlantide.
Esistono molti indizi, alcune strane testimonianze, vari scritti, infinite illazioni, ma nulla (o quasi) di ‘tangibile’. Si pensi che anche dove ho casa al mare, nella zona di San Felice Circeo, uno studioso di vari decenni or sono, il dottor Evelino Leonardi, avrebbe individuato Atlantide. In vacanza indagherò!

T.I.: Qual è oggi il significato dell’archeologia?

R.V.: Una continua ricerca delle nostre vere origini, delle tracce di presenze antropiche lasciate da chi ci ha preceduti. Ma, purtroppo, con molte rèmore e infiniti sospetti su tutto ciò che potrebbe compromettere la stabilità dell’edificio fino ad oggi costruito.
Appunto: fino ad oggi!

T.I.: Sta lavorando a qualche nuovo progetto? In tal caso potrebbe darcene una piccola anticipazione?

R.V.: A giorni esce il mio ‘Miracoli?’ (Acacia Edizioni 2008) incentrato su una non faziosa (almeno spero…) disamina di molti episodi ‘miracolosi’ inquadrabili però anche da un punto di vista razionale. Con molte Appendici Sperimentali per cercare di ripeterli.
Come ad esempio la liquefazione del sangue attribuito a San Gennaro (ricorrendo all’ipotesi tissotropica, bene evidenziata anche dal chimico Dott. Garnaschelli del Cicap) o alcuni ‘miracoli’ messi in atto, in India, dai venditori di souvenir di Sai Baba. E così via.
In un prossimo futuro il mio volume ‘Alla ricerca del Pensiero’, dedicato alla telepatia studiabile con semplici apparecchi elettronici costruibili anche dal lettore, verrà ripubblicato probabilmente allegato ad un numero speciale de I Misteri di Hera.
All’inizio del 2009 uscirà per la Eremon Edizioni anche “Gli ‘stregoni’ della Scienza” dedicato ad una quindicina di ‘geni da legare’ ovvero studiosi ai margini della Scienza cosiddetta ufficiale (alcuni ci sono dentro, ma per poco!), quali Nikola Tesla, Todeschini, Ledskalnin, Mancini, Ighina e vari altri.
Ovviamente con relative Appendici Sperimentali con cui insegno come rifare alcuni degli esperimenti (quelli più facili!) che portarono tali scienziati misconosciuti (Tesla ovviamente fa eccezione!) alle loro scoperte o invenzioni.
Ora sto lavorando ad un libro che intitolerei “Contatto con l’Inumano” dedicato ad almeno quattro distinti aspetti della ricerca per venire in contatto con ipotizzabili realtà, appunto, non umane. Ma mi fermo qui.
Contemporaneamente sto lavorando anche ad un libro su alcune testimonianze archeologiche (si dice che, non si dice che…) osservabili ‘dall’alto’.

Anche qui… mi fermo e vi ringrazio per la vostra intervista e ringrazio i lettori per la pazienza che, forse, mostreranno nel leggerla!