L’italiano che vide l’atomica nazista – L’intervista che non fece in tempo a concedere

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Sabato 17 Marzo 2007. Scompare a 89 anni Luigi Romersa, lo storico che vide l’atomica con impressa la croce uncinata. Abbiamo forse perso l’ultima possibilità di scrivere la storia senza la censura americana?

di Alessandro Moriccioni

“Chi prima ha vissuto senza consapevolezza
Ma successivamente è divenuto consapevole,
illumina questo mondo
come la luna che esce da una nuvola”.
Dhammapada (Antico testo buddista vers.13,6)

Martedì 13 marzo 2007
Copertina del libro "Lem armi segrete di Hitler"
Copertina del libro “Lem armi segrete di Hitler”

Stavo finendo di organizzare una conferenza, prevista per il 24 marzo, ed ero impegnato a girare per la Capitale negli ultimi frenetici preparativi.
Decisi di recarmi dal direttore di Mystero, Luigi Cozzi, per fargli avere un articolo inerente un dibattito al quale avevo partecipato giorni prima. Durante quell’incontro gli proposi di partecipare come relatore ad un breve seminario su un qualsiasi argomento ed il dottor Cozzi ebbe un’idea entusiasmante.
Aveva, tempo prima, ricevuto una telefonata del giornalista Luigi Romersa, il quale tessé le lodi della nostra casa editrice, per aver pubblicato un libro piuttosto controverso sul mistero dell’atomica di Hitler. Il volume, scritto da Joseph P. Farrell s’intitola proprio La Bomba Atomica di Hitler ed è un saggio difficile da prendere in considerazione se si pensa che la storia scritta nei libri di scuola sia priva di ombre. Romersa si complimentò molto sottolineando quanto fosse importante ciò che Farrell aveva riportato nella sua opera.
Quando sentii quel nome non credetti alle mie orecchie ed esclamai: “Luigi Romersa, l’uomo che ha visto l’atomica nazista?”.
 Luigi Cozzi rispose affermativamente facendo un cenno col capo. “Si potrebbe invitarlo a presentare il libro di Farrell, sarebbe felice, penso, di farlo. Considera che lui è la prova vivente che questa non è una tesi ma una realtà storica. Si tratta di una fonte autorevole che non può essere smentita. Senti se è disponibile e magari intervistalo. Sì, mi farebbe piacere che lo intervistassi”.
Ero entusiasta. Intervistare il grande Luigi Romersa. Era un’occasione unica.
Sapevo chi fosse Romersa perché più di una volta mi era capitato di vederlo in televisione. Molte trasmissioni documentaristiche lo avevano invitato a partecipare alle ricostruzioni riguardanti la Seconda Guerra Mondiale. Non dimentichiamo che egli era un vero esperto e dalle sue memorie di corrispondente di guerra per giornali quali Il Messaggero ed Il Corriere della Sera, aveva tratto splendidi volumi storico-militari.
Ma era soprattutto per ciò che aveva affermato nel volume Le Armi Segrete di Hitler, che tutti lo volevano. Senza mezzi termini o incertezze, scrisse di aver partecipato come osservatore inviato dal Duce, Benito Mussolini, al test di un’esplosione atomica, a Rugen in Germania nel 1944.
Di per sé l’affermazione sembrerebbe una fantasia. Peccato che non sia affatto una fantasia ma l’agghiacciante verità, documentata, sul possibile corso che la storia avrebbe potuto prendere se la guerra fosse durata qualche mese in più. Gli storici, prima o poi, dovranno rettificare alcune affermazioni perentorie fatte senza conoscere i fatti.
Comprai e lessi immediatamente quel suo libro, che tante volte avevo sfogliato in libreria, restando d’accordo col dottor Cozzi che avrei quanto prima contattato Romersa per proporgli l’intervista.
Gli telefonai quel pomeriggio stesso, provando uno strano timore reverenziale. Dopotutto stavo per parlare con un uomo che era perfino stato intimo amico di quel genio tedesco che fu Wernher von Braun, ideatore delle V2 e padre dell’astronautica americana. Romersa era uno degli ultimi sopravvissuti di un’epoca ormai definitivamente andata.
Romersa corrispodnente di guerraMi presentai alla moglie che me lo passò immediatamente.
“Pronto?” Mi rispose una voce tremante.
“E’ il dottor Romersa?” Chiesi titubante seppure avessi la certezza che si trattava di lui, e senza aspettare continuai: “Mi chiamo Alessandro Moriccioni, la chiamo per conto della rivista Mystero per proporle un’intervista…”
La voce di Romersa si schiarì un poco: “Eh, mio caro, non riesco a parlare bene, lei mi capisce… Sente, immagino, che non ce la faccio. Sono stato male”.
Rimasi di stucco e replicai: “Mi spiace moltissimo. La chiamavo anche perché col dottor Luigi Cozzi pensavamo d’invitarla alla presentazione del libro di Farrell La Bomba Atomica di Hitler e ci avrebbe fatto piacere avere la sua testimonianza…”
 Lo sentii accennare un sorriso e rispondermi: “Eh, magari ragazzo mio. Sono quattro anni che non mi muovo di casa. Ma mi ricordo bene di quel libro. E’ stato davvero importante che lo abbiate pubblicato. Davvero un bel libro”.
Fu strano sentirlo parlare al telefono. Non mi disse granché, ma la gentilezza nella sua voce mi fece sentire come un nipote che chiede al nonno per l’ennesima volta: “Mi racconti di quando facevi il militare?” Così pensai di concludere in modo pratico: “Non voglio ovviamente importunarla oltre, quando pensa che potrei ricontattarla?”
“Guardi” Mi disse. “L’intervista gliela concederò molto volentieri non appena mi sarò ristabilito. Se il buon Dio vorrà darmi il tempo lo farò con piacere. Mi lasci qualche giorno… sì, mi richiami tra qualche giorno e lo farò senz’altro”.
Gli promisi di richiamarlo la settimana successiva e lo ringraziai salutandolo e scusandomi con lui per il disturbo.
Attaccai la cornetta del telefono tremando. Avevo sì parlato con Romersa, ma ebbi subito un brutto presentimento. Sperai con tutto me stesso che quell’uomo, che tante volte avevo visto in televisione ripercorrere così lucidamente il proprio avventuroso passato, tornasse ad essere quello di sempre. Lo storico che aveva vissuto la storia, il mito che avevo imparato a conoscere. Anche se mai di persona.
Ero frastornato e lo rimasi per tutta la settimana, aspettando con impazienza il momento in cui avrei dovuto chiamarlo nuovamente.

Lunedì 19 marzo 2007
Il necrologio apparso sul "Tempo"
Il necrologio apparso sul “Tempo”

Fremevo. Era tutto il giorno che pensavo di chiamare Romersa. Alle 16:35, subito dopo aver scritto l’ultima domanda che intendevo fargli, decisi di telefonare.
Composi il numero con uno strano timore. Diverso da quello che avevo provato la prima volta.
Una voce femminile, molto calda ed affabile, mi rispose dall’altra parte. “Sì, chi è?”
“Mi scusi per il disturbo signora, mi chiamo Alessandro Moriccioni sono della rivista Mystero. Potrei parlare cortesemente col dottor Romersa?” Dissi di getto.
Per un paio d’interminabili secondi non ebbi risposta. Poi notai una lieve incertezza nella voce della mia interlocutrice. “Lo cercava per un’intervista?” Mi chiese.
“Sì, eravamo d’accordo che lo avrei richiamato questa settimana…” Risposi interrompendomi quasi subito. Avevo percepito una strana sensazione di disagio. Ma non capii immediatamente da cosa fosse provocata.
“Mi spiace, sono la moglie. Forse lei non lo sa ma mio marito è morto sabato…”
Fu un colpo dritto al cuore. Detto con dolcezza e serenità, devo ammetterlo, ma fu come ricevere un pugno nello stomaco. Non sapevo che dire.
“Mi scusi tanto signora… le faccio le mie più sentite condoglianze, non lo sapevo, sa per via del lavoro non ho avuto modo di leggere i giornali”.
Mi rispose lei molto cortesemente: “Non si preoccupi, posso capire. Vedrà che molti altri telefoneranno non avendone avuta notizia, anche se oggi è uscito un articolo su Il Tempo. Sa, mio marito stava male da un po’ di tempo, ormai. Da un mese a questa parte era costretto a respirare con la bombola d’ossigeno. Aveva novant’anni, capisce? Ma comunque di uomini come lui non ce ne sono più, era l’ultimo del suo stampo!”
Concordai commosso da quelle parole proferite con straordinaria fermezza e con un palpabile profondissimo affetto. “Era un uomo straordinario, signora…” Dissi sinceramente. “Di uomini come lui non ne esistono più”. E conclusi: “Comunque la prego di accettare ancora le mie scuse e le più sincere condoglianze da parte di tutta la Redazione”. “La ringrazio” Mi rispose. “Presto leggerò tutte le lettere che sono giunte a cordoglio. Appena ne avrò il tempo…”. Riattaccai il telefono e come ipnotizzato sussurrai: “L’ultima speranza di rettificare una storia falsa e bugiarda è sfumata per sempre”.
Ci misi un po’ per riprendermi dal trauma, lo ammetto.
Mentre sfilavo le domande che avevo preparato dalla cartellina che porto sempre con me, decisi di scrivere comunque il pezzo. Non avevo l’intervista, questo è vero. Ma forse avevo qualcosa di più. Avevo assistito ad un breve tratto dell’avventura umana di una persona che avevo io stesso mitizzato. Quella breve conversazione che ebbi con lui mi aveva aperto il cuore e coinvolto ben più che se avessi registrato tutto un suo monologo sulla bomba “disgregatrice” (o atomica cioè quel che era) di Hitler.
Anche se avevo assistito ad un momento del tragico declino della sua esistenza, avevo scorto in lui quella serenità e quella consapevolezza che la fine può essere soltanto un nuovo inizio.
Comperai Il Tempo e lessi di getto l’articolo mentre fuori la pioggia scrosciava come se il cielo piangesse disperato. Avvertii Luigi Cozzi dell’accaduto e lo sentii incoraggiarmi a scrivere comunque la mia esperienza. Ma sentivo chiaramente quanto fosse dispiaciuto per la scomparsa dell’insigne giornalista e storico. Per quel uomo straordinario, come aveva sottolineato amorevolmente la sua compagna di vita al telefono.
Certo peccherei di ipocrisia se non ammettessi la delusione che provavo. Sentivo come un senso di sconfitta seguito ad un desiderio che diviene realtà e subito muta in un incubo.
Volevo intervistare Romersa e lo volevo con tutto me stesso.

Mercoledì 21 marzo 2007
Romersa e Wernher von Braun
Romersa e Wernher von Braun

La giornata era fredda. L’inverno inesistente fino a quel momento si faceva sentire tutto come dovesse recuperare l’intera stagione in un sol giorno.
Mi trovavo nella basilica di S. Eugenio, una chiesa costruita alla fine degli anni quaranta in Viale delle Belle Arti a Roma, dove tra i vari santi si venera il portoghese José Maria Escrivà; fondatore dell’Opus Dei.
La basilica enorme ma fredda, iniziò a riempirsi di amici e parenti intorno alle undici e quando il feretro fu trasportato all’interno, mi sentii onorato di essere al cospetto di un uomo di siffatta statura.
 Non ci furono lacrime o strazi. La dignità dipinta sul volto di sua moglie e di chi lo aveva amato fu encomiabile. Il sacerdote che presiedeva al rito funebre parlò di Romersa come di un devoto cristiano ma fece riecheggiare più e più volte le gesta di quell’insuperabile reporter che fu. Risuonarono spesso anche il nome di Hitler e della sua bomba, quello di Mussolini e del suo amico Wernher von Braun, scomparso decenni fa.
Questa vita, diceva Romersa, è solo una parte dell’equazione. Il resto è il cielo.
Quando udii queste parole durante l’omelia, capii d’improvviso che fu questo lo spirito col quale Luigi Romersa, l’uomo che aveva fatto per quattro volte il giro del mondo, era spirato.
Alla fine del rito, decisi di uscire dalla chiesa chiedendomi perché fossi lì. C’ero andato per salutarlo e dirgli addio, oppure solo per scrivere la conclusione del mio articolo?
Poi, invece di riuscire a darmi una risposta mi feci un’ulteriore domanda: per quale motivo coloro che ne avevano sfruttato l’immagine per le proprie trasmissioni televisive non erano venuti a rendergli omaggio? Perché non c’erano quelli che a Rugen andarono per effettuare analisi sulla radioattività e screditarlo? Io per lui ero solo una voce al telefono, ma c’ero e questo mi bastava.
Oggi, guardando con occhi stanchi il suo volume, Le Armi Segrete di Hitler, so che mancherà sempre una dedica tra i libri della mia biblioteca personale. Quella dedica che avrei voluto lui facesse a me e che, invece, sto facendo io a lui.