La corona al centro del mondo

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Perchè il castello più enigmatico dell’Imperatore Federico II di Svevia è esattamente sullo stesso parallelo di Istanbul-Costantinopoli ? Perchè, ancora, il suo lato sud è rivolto verso San Giovanni in Fiore, la città del mistico calabrese Gioacchino, profeta della nuova età dello Spirito Santo ? E perchè gli altri lati della pianta ottagonale sono orientati verso tutte le principali città d’Europa e del Mediterraneo ? Sulla base di un analogo castello svevo ad Enna, nel centro geografico esatto della Sicilia, la chiave per risolvere il mistero dell’enigmatico castello pugliese sta forse nella sua posizione geografica?

di Ignazio Burgio

Castel del Monte
Castel del Monte

Lì dove la Storia è avara di documenti e testimonianze scritte ecco che sorgono inevitabilmente molti interrogativi che alimentano ancor più la curiosità del vero storico. Se ciò vale certamente per questioni di più “ordinaria amministrazione” come la datazione di una moneta, l’autore di un poema anonimo o gli antichi proprietari di un casale, tanto più assume proporzioni mitiche nel caso di monumenti ciclopici e dall’architettura originale e stravagante. Questo è il caso del più curioso e misterioso fra i castelli edificati dall’imperatore Costantino Ruggero Federico II di Hohenstaufen Svevia, ovvero Castel del Monte, nella omonima località pugliese a pochi chilometri da Andria.
Il fatto che fra tutti i documenti ufficiali dell’imperatore svevo ci sia pervenuto solo un breve cenno sul castello in una lettera del 29 gennaio 1240 (data del probabile inizio dei lavori di costruzione), ha fatto sorgere numerose domande circa l’architettura e le finalità di questo edificio. Non ha alcuna caratteristica di fortezza militare come gli altri castelli costruiti da Federico, risultando anzi esso stesso poco difendibile. La raffinatezza dell’architettura esterna ed interna suggerirebbe invece l’ipotesi di una dimora signorile, anche temporanea o stagionale, ma sicuramente non ai fini della caccia, poichè mancano le stalle per i cavalli. Presso gli studiosi si va facendo sempre più strada l’ipotesi che il castello fosse strettamente collegato con la cultura astrologica, astronomica ed eclettica dello Stupor Mundi, e che dunque possa essere stato edificato come un tempio al sapere suo e dell’epoca.
La sua straordinaria architettura dove ricorre insistentemente il numero otto (la pianta ottagonale, con otto lati e otto torri agli angoli, le otto stanze principali nelle quali è suddiviso ognuno dei due piani, i numerosi gruppi di otto decorazioni in stile vegetale all’esterno e all’interno dell’edificio, ecc.) rendono evidente l’esistenza di un ben preciso simbolismo all’origine della sua costruzione, il quale tuttavia non è ancora stato ben decifrato. I dubbi e gli interrogativi sono andati aumentando, anzichè diminuire, dopo la scoperta di ben precisi orientamenti solari e fenomeni archeoastronomici di cui è oggetto il misterioso castello. I due leoni sul portale d’ingresso rivolto ad oriente guardano rispettivamente verso l’alba del solstizio estivo e verso quello invernale. Inoltre l’8 aprile e l’8 ottobre di ogni anno (ancora il numero 8 !) un raggio di sole entra dalla finestra nella parete sudorientale e, attraversando la successiva finestra che si rivolge al cortile interno, illumina una porzione di muro dove prima doveva esservi scolpito qualcosa. Torneremo in seguito su questo fenomeno, ed anche su un altro evento archeoastronomico, quale la proiezione dell’ombra delle mura meridionali sul resto dell’edificio nel corso di un periodo dell’anno estremamente significativo, dall’equinozio di autunno fino al 21 ottobre, durante tutto il segno zodiacale della Bilancia.
In realtà per cercare di penetrare i misteri di questo straordinario monumento (che non può essere propriamente definito “castello”) è più opportuno considerare l’architettura esterna e non quella interna, così come è più conveniente analizzare gli orientamenti geografici “terreni” piuttosto che quelli astronomici e celesti. Il lato dove si apre il magnifico portale d’ingresso, guarda ad Oriente: non è una novità, poichè tanti altri monumenti antichi – templi, chiese, e via dicendo – consideravano tradizionalmente il punto dell’alba agli equinozi, l’est, strettamente collegato al simbolismo della luce. Ma dal punto di vista geografico e terreno, l’ingresso principale dell’edificio è rivolto soprattutto alla sede dell’altro imperatore, quello d’Oriente, cioè verso la città di Costantinopoli. Questo perchè il luogo dove sorge Castel del Monte (41,05 latitudine Nord) è sullo stesso identico parallelo dell’odierna Istanbul (41,01 Nord). La coincidenza è sconcertante, in quanto solo pochi centesimi di grado fanno sfasare l’allineamento con l’antico Palazzo Imperiale, e ciò per inciso fa sorgere la questione sugli strumenti tecnici e matematici che i geografi dell’epoca avevano a disposizione per raggiungere una tale precisione: argomento che volentieri rimandiamo a dopo dal momento che le sorprese non finiscono qui.
Se il lato orientale col suo ingresso principale è rivolto alla luminosa città dell’altro Imperatore, il lato opposto, col suo ingresso secondario è rivolto invece alle città di Capua e di Napoli, sede della famosa Università da lui stesso fondata. Il lato cardinale settentrionale è orientato verso Vienna (anche qui con un errore di pochi margini di grado), capoluogo di quel Duca suo omonimo – Federico di Babenberg – che pochi anni prima della costruzione del monumento aveva sconfitto e destituito come ribelle (1236), per poi reintegrarlo nella sua carica dopo averne ottenuto la sottomissione (1239). Il lato meridionale guarda invece verso i suoi domini lucani e calabresi, e verso una località in particolare: San Giovanni in Fiore, sede di quel movimento mistico-spirituale fondato da Gioacchino da Fiore che profetizzava l’avvento di un’era di giustizia e spiritualità proprio a partire dal Duecento.
Quattro città-simbolo dunque, su cui mira ognuno dei quattro punti cardinali di Castel del Monte, che da sole già valgono a chiarire sia il perchè il monumento sia stato edificato proprio in quel luogo, sia il suo significato ideale e simbolico. Ma se si considerano anche gli altri quattro lati ed i torrioni presenti fra di loro, si vedrà che sulla cartina geografica dell’Europa e del Mediterraneo ognuno di essi è perfettamente orientato – come una sorta di ideale rosa dei venti – su una o più città di grande importanza politica, storica, culturale, religiosa, e dunque di grande valore simbolico: Aquisgrana, Venezia, Milano, Bologna, Parigi, Rouen, Salerno, Amalfi, Palermo, Messina, Catania, e via dicendo. Spiccano per importanza religiosa e simbolica sia il torrione di Sud-Est-Est rivolto verso Gerusalemme (con in mezzo Atene), sia dalla parte opposta quello complementare di Nord-Ovest-Ovest che guarda in direzione di Roma e di Arles, la città provenzale di cui Federico era anche sovrano.
A riprova del significato “geodetico” e geografico del monumento si può considerare anche la stretta somiglianza con un un’altra fortezza sveva, questa volta in Sicilia, ad Enna. La “Torre di Federico II”, anch’essa a pianta ottagonale, e coi lati perfettamente orientati ai quattro punti cardinali e ai quattro intermedi, sorge a poche centinaia di metri dal punto esatto che corrisponde al centro geografico della Sicilia (vicino alla poco distante Chiesa di Montesalvo). Costruita anch’essa intorno al 1240 dal “protomagistro” Riccardo da Lentini, secondo quanto affermano le fonti servì agli astronomi e geografi arabi per tracciare il sistema viario dell’intera Sicilia e la sua ripartizione amministrativa in tre settori o “valli”. Di fatto ancora oggi sulla cartina i lati della torre riescono perfettamente ad “inquadrare” quasi tutti i principali centri isolani dell’età sveva: Palermo, Taormina, Agrigento, Gela, Agira, mentre altri come Catania e Siracusa “sfuggono” per pochi chilometri.

Dunque il più famoso monumento pugliese edificato da Federico II “incontra” idealmente tutte le regioni e le città del suo impero, individuate dai suoi lati e dalle sue torri. Si trova di fatto al centro ideale (tenendo conto di Gerusalemme, città di cui era sovrano) dei propri domini. Ed il suo disegno – com’è stato notato da qualcuno – somiglia alla corona di forma ottagonale, con la quale fu incoronato Re di Germania il 25 luglio del 1215 nella Cappella Palatina di Aquisgrana, anch’essa a pianta ottagonale e luogo di sepoltura di Carlo Magno. Tenendo conto di tutti questi elementi si può dunque tentare di sciogliere qualche mistero.
All’epoca della costruzione del monumento, nel 1240, Federico II era all’apice del suo potere: i feudatari tedeschi ricondotti alla fedeltà e all’obbedienza, le città comunali italiane sconfitte e sottomesse con la battaglia di Cortenuova (1237), il Papa ed i vescovi tenuti a freno. La tentazione di esprimere in maniera simbolica questo trionfo, immortalandolo con la pietra, sicuramente fu forte in una persona colta e ambiziosa come lui. Castel del Monte rappresenterebbe dunque una monumentale corona imperiale, la sua, al centro del suo impero e del suo mondo medievale, e idealmente estesa come un ombrello su tutti i suoi domini. L’esatto parallelismo con la latitudine di Costantinopoli – città fondata da quell’imperatore di cui lui stesso portava il nome – starebbe a significare la consapevolezza di un’autorità e una dignità pari a quella del suo collega d’Oriente, proprio come ai tempi del tardo impero romano. Per di più, in quel periodo storico la città di Costantino non aveva presso di sè il legittimo Imperatore Romano, esiliato in Anatolia, in quanto i territori bizantini erano divisi e occupati da sovrani ed eserciti occidentali, i quali li avevano conquistati nel 1204, nel corso della cosiddetta “Quarta Crociata”. Federico poteva dunque sentirsi in quel momento l’unico vero Augusto nella pienezza dei propri poteri, e come aveva scritto nel 1239 in una lettera indirizzata ai cardinali, “…doveva essere a lui permesso di promuovere l’esaltazione dell’impero…”. (*)
Visti in questa chiave allora anche i fenomeni astronomici avrebbero un ben preciso valore simbolico. Una volta all’anno dal 23 settembre al 21 ottobre, proprio sotto il segno zodiacale della Bilancia (il segno della giustizia) dalla direzione sud, cioè dalla direzione ideale di San Giovanni in Fiore, l’ombra delle pareti a mezzogiorno ricopre tutte le altre parti del castello, così come idealmente le leggi, la saggezza e l’autorità dello “Stupor Mundi” avrebbero dovuto inaugurare quella nuova era di pace e giustizia profetizzata dal monaco cistercense calabrese, il cui ordine monastico – nonostante il suo successivo atteggiamento ostile all’Imperatore scomunicato – veniva protetto e favorito dallo stesso Federico (così come prima di lui era stato aiutato dalla madre Costanza d’Altavilla). Questa interpretazione potrebbe anche spiegare, tra l’altro, la relativa irregolarità della forma ottagonale interna del monumento, che molti studiosi considerano volutamente costruita in questa maniera proprio in funzione del gioco delle ombre. Più arduo appare invece trovare un significato al raggio di sole che due volte l’anno, l’8 di aprile e l’8 di ottobre, penetra dalla finestra nella parete sudorientale e, dopo aver attraversato la successiva finestra che si rivolge al cortile interno, illumina una porzione di muro dove prima doveva esservi scolpito qualcosa poi rimosso: forse l’immagine di Federico, forse l’Aquila Sveva, o forse qualcos’altro ancora che non riusciamo ad immaginare.
I giochi di luce in ogni caso fanno parte integrante dell’architettura medievale e del relativo simbolismo in cui è immersa la mentalità dell’uomo del tempo, ed alla quale non era estraneo neppure l’imperatore svevo. Nelle cattedrali gotiche, come ad esempio quella di Chartres, la luce, la prima cosa creata da Dio e quindi considerata come pura energia divina e metafora dello Spirito, penetrava dalle vetrate colorate impregnandosi delle immagini dei santi che quelle vetrate stesse riproducevano, per poi “inondare” della stessa carica di virtù e di santità i fedeli presenti nella chiesa. Alla stessa stregua a Castel del Monte la luce proveniente dalla direzione di Costantinopoli, città luminosa per tradizione imperiale e cultura classica, penetrava in abbondanza dal porticato più grande, “carica” delle virtù provenienti da quella direzione per poi diffondersi idealmente in tutto l’impero, simboleggiato dal monumento medesimo, il quale è anche un simbolo dell’ideale sincretistico dell’imperatore svevo.
Federico II avrebbe voluto infatti creare una nuova ideologia politica, un nuovo tipo di cultura e forse anche una nuova idea religiosa, fondendo insieme gli elementi migliori, del passato e del presente, esistenti in tutte le civiltà dell’Europa e del Mediterraneo, in particolare della cultura araba, di cui ammirava tanti aspetti politici, scientifici e culturali. Simbolo di tale ideologia potrebbe essere stato, come suggerito da qualche studioso, il fiore a otto petali racchiuso entro un cerchio, sorta di “mandala” della mistica islamica, ricamato anche sulla tunica funebre dell’imperatore, accanto ad iscrizioni in arabo. Quel “fiore a otto petali” – rinvenuto anche in un antico affresco a Melfi, che ritrae quasi certamente l’imperatore e la sua famiglia – venne riprodotto nell’architettura di Castel del Monte, e nelle intenzioni di Federico avrebbe dovuto idealmente tenere unito il suo impero e nello stesso tempo prendere simbolicamente il meglio da ogni cultura, da ogni espressione artistica, da ogni idea religiosa, per portare nuovo vigore soprattutto all’ideologia imperiale. Potrebbero così trovare il loro significato anche ad esempio gli orientamenti con le piramidi di Giza ed il santuario di Zeus ad Olimpia (parete di Sud-Est, proprio la direzione di provenienza del raggio di sole dell’ 8 ottobre), e dalla parte opposta – se non è solo un caso – anche con il cromlech di Stonehenge: l’antichità e la sacralità del potere imperiale, non inferiore – nella mentalità di Federico – al potere papale, sarebbero stati alimentati anche dall’”energia” proveniente da quegli antichi santuari e avrebbero restituito la perduta dignità alla medesima corona imperiale. Un’illusione questa che di lì a pochi anni sarebbe tramontata insieme all’esistenza terrena dell’imperatore, alla sua dinastia e all’unità del suo impero.

Torre di Federico
Torre di Federico

Qualunque sia l’interpretazione dei giochi di luce e di ombre e dei simboli architettonici del monumento, resta comunque un fatto che gli orientamenti astronomici e soprattutto geografici non possono essere una semplice casualità, e sorprende la perfezione di alcuni di essi, come l’esatta latitudine con la città di Costantinopoli: quali strumenti possedevano gli astronomi ed i geografi dell’epoca di Federico per raggiungere risultati così sorprendenti ? Sin dall’inizio del IX secolo, mentre dopo la morte di Carlo Magno l’Europa piombava nel caos delle lotte feudali e dei saccheggi normanni e saraceni, l’oriente arabo con la sua capitale Baghdad godeva di un vero e proprio rinascimento culturale e scientifico. Protetti dal Califfo Al-Mamun che nell’828 costruì nella metropoli mesopotamica anche un osservatorio astronomico, geniali studiosi come Ben-Musa Al-Kowaritzmi (che com’è noto diede origine ai termini di “algebra” e “algoritmo”), Al-Kindi, Al-Battani, fusero l’antica scienza greca con la matematica indiana – che utilizzava il sistema decimale imperniato sul concetto dello zero, sconosciuto ai greci ed ai romani – gettando così le basi della matematica e dell’astronomia moderne. I nuovi potenti mezzi matematici della trigonometria sferica usati insieme a strumenti di navigazione ulteriormente perfezionati come l’astrolabio, consentirono ad un altro colosso della scienza araba, Al-Biruni (973-1048) di calcolare con molta esattezza la latitudine e la longitudine di diverse località geografiche, anche della lontana India. Non appare dunque inverosimile che nel XIII secolo le conoscenze geografiche fossero di livello molto elevato.
Il “fanciullo di Puglia”, come talvolta veniva chiamato Federico, non fu naturalmente estraneo ai traguardi scientifici e culturali del mondo musulmano. Aveva trascorso la sua infanzia nella corte normanna-sveva di Palermo, città cosmopolita dove la comunità araba, seppur ridimensionata dai conquistatori del Nord, manteneva ancora una certa sua influenza culturale. Tra i maestri che si incaricarono dell’istruzione del piccolo erede al trono secondo alcune fonti vi sarebbe stato anche un imam arabo. Quel che è certo è che Federico imparò a parlare correntemente anche la lingua araba, e a nutrire grande ammirazione per la cultura e gli studiosi musulmani, di cui spesso si circondava. Dal sultano Al-Khamil, col quale rimase sempre in ottimi rapporti, ricevette in dono un preziosissimo planetario, riccamente decorato, che rappresentava la volta celeste, dove il sole, la luna, e gli altri pianeti ruotavano segnando il trascorrere degli anni e delle ore. “…Noi dalla nostra giovinezza, prima che ci gravasse il peso del governo, cercammo sempre la scienza, ne amammo incessantemente la bellezza, e nell’odore degli unguenti suoi respirammo continuamente…” scrisse una volta l’imperatore ai professori dell’Università di Napoli. Lui stesso entrò anche in contatto col pisano Leonardo Fibonacci, il matematico che dopo aver studiato la scienza araba dei numeri diffuse anche nel mondo occidentale i superiori strumenti di calcolo, a partire dal concetto di zero e del sistema decimale.
Dunque qualunque “protomagistro” di corte abbia progettato Castel del Monte, purtroppo rimasto senza nome, certamente doveva conoscere bene tutti i sorprendenti risultati matematici, astronomici e geografici a cui erano giunti nei secoli precedenti i geniali studiosi arabi. In più diversi studiosi non escludono che possano essere intervenuti nella sua costruzione anche tecnici arabi, chiamati per interventi delicati quali gli impianti idraulici e le scale elicoidali (molto simili a quelli del Castello Ursino e del Castello di Maniace a Siracusa). Astronomi e geografi arabi potrebbero dunque aver partecipato al progetto per fissarne con precisione gli orientamenti terreni e celesti.
Nondimeno rimangono ancora circa il grado di conoscenze geografiche nell’età federiciana molte domande ancora aperte, al momento senza una risposta ben precisa. Ad esempio tutte le mappe dell’epoca a noi giunte non rendono giustizia delle precise conoscenze su latitudine e longitudine possedute dai geografi arabi, ma appaiono ancora piuttosto imprecise. Esistevano forse altre carte geografiche più dettagliate gelosamente custodite da armatori e comandanti navali poi perdute o confuse con quelle dei secoli successivi ? E – ammesso che esistessero – fin dove si spingevano le conoscenze e i dettagli geografici di tali mappe ?
Domande che naturalmente attendono ancora una risposta definitiva.

(*) Enrico Pantalone ci ha fatto sapere quanto segue: “interessante nota di carattere documentale storico-politico a questo proposito, relativamente alla disputa sull’eredità di Roma tra la Casa di Svevia e l’Imperatore in Bisanzio, ecco ciò che disse e scrisse Federico Barbarossa ai diplomatici bizantini inviati da Manuele Comneno una volta giunti alla sua corte dopo la disfatta definitiva subita ad opera dei Turchi nella battaglia di Myriocephalon (1179) per chiedere dell’aiuto: “gli imperatori tedeschi avevano ricevuto il loro potere dai gloriosi imperatori romani e dovevano non solo dominare l’Impero Romano. ma anche “il Regno Greco” (l’ut non il solum Romanum imperium nostro disponatur moderamine, verum etiam regnum grecie annuncio nutum nostrum regi et suppliscono nostro gubernari debeat imperio)”. Era un vero e proprio diktat, non v’era più spazio per le discussioni, Manuele dovette accettare d’essere considerato solamente “Rex” al confronto di Federico “Imperator”, era la fine di Bisanzio, dell’Impero Bizantino, erede della grande civiltà di Roma rimaneva solamente il Sacro Romano Impero costruito dai franco-tedeschi con il sostegno del Papato Romano: il precedente Congresso di Venezia del 1177 sancì definitivamente l’alleanza europea tra le parti e getterà le basi per la crociata del 1204 che conquisterà Bisanzio, tutto il susseguirsi degli avvenimenti nei secoli successivi sino al 1453 sarà solamente una malinconica attesa della fine da parte dei greci.”

(Si ringrazia il dott. Ignazio Burgio e Catania Cultura per la concessione dell’articolo)